Il tribunale di sorveglianza di Roma ha revocato il carcere duro al boss Antonino Troia, capomafia di Capaci, condannato con sentenza definitiva all’ergastolo per la strage in cui furono assassinati il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta.
Ritenuto il capo della famiglia mafiosa di Capaci, Troia, ora 77enne, ebbe un ruolo sia deliberativo, che esecutivo nella strage del 23 maggio del ‘92. All’epoca il boss faceva della Cupola di Cosa nostra che decise l’attentato e diede poi anche un apporto logistico ai killer, nascondendo l’esplosivo usato per assassinare Falcone e ospitando nel suo territorio il commando.
Troia è al 41 bis dal 1993 e deve scontare, oltre all’ergastolo per l’eccidio di Capaci, quattro condanne al carcere a vita per altrettanti omicidi. La Dna aveva dato parere negativo alla revoca del decreto di 41 bis rinnovato dal guardasigilli a novembre scorso.
Secondo i giudici di Roma il provvedimento di proroga del 41 bis sarebbe “privo di adeguata motivazione”. Secondo il collegio il provvedimento si limita ad affermare genericamente che Troia ha una posizione di vertice in Cosa nostra e si allegano tre decreti di sequestro a carico di una serie di esponenti mafiosi di diverse ‘famiglie’.
“Quanto al profilo criminale – scrivono i giudici – Troia è stato giudizialmente riconosciuto capo della famiglia mafiosa di Capaci e in quanto tale responsabile della strage del 23 maggio 1992 e della commissione di altri quattro omicidi consumati a Capaci nel 1991. E’ quindi delineato un ruolo sicuramente di rilievo accertato sino al 1992″.
“La perdurante operatività della famiglia mafiosa (altro requisito a cui la legge subordina la proroga del 41 bis n.d.r.) – proseguono i giudici – non risulta invece comprovata. Nessuna delle vicende riportate nel decreto ministeriale appare riconducibile alla famiglia di Capaci e ancor meno alla persona di Troia. E non emerge alcun indizio di attuale sussistenza dell’interesse dell’organizzazione mafiosa a intessere indebiti collegamenti con Troia”.
Insomma i giudici bacchettano la superficialità della motivazione posta alla base del 41 bis e aggiungono: “Nel corso degli ultimi 19 anni non è mai emerso alcun elemento, giudiziario e non, che possa dirsi sintomatico di perdurante esercizio o riconoscimento del ruolo di vertice di Troia”.
Per il tribunale l’unico elemento di valutazione utile del provvedimento è la posizione di spicco del detenuto nel clan fino al 1992. “Se è vero – concludono – che il decorso del tempo non può da solo costituire elemento decisivo di valutazione, è altrettanto illegittimo fondare il giudizio richiesto dall’art. 41 bis esclusivamente sul ruolo esercitato 20 anni fa da persona che oggi, settantenne e malata, e sottoposta da 19 anni a rigorosissimo ed afflittivo regime penitenziario non ha più avuto relazione diretta o indiretta con un’organizzazione che, pur nell’ambito di Cosa nostra, non è noto sei sia localmente attiva e, soprattutto, in qualsiasi modo ancora legata a interessi legati a Troia”.
La revoca non sarà comunque da subito operativa: l’esponente mafioso passerà prima per una fase di regime di alta sicurezza e non avrà immediatamente accesso al regime ordinario. Nel frattempo, una volta conosciute tra l’altro le motivazioni del tribunale di Sorveglianza, gli organi deputati, ossia la Procura nazionale Antimafia e la Procura generale presso la Corte d’Appello, potranno presentare eventuale ricordo. Troia era in regime di 41/bis da molto tempo e recentemente, il 30 novembre 2011, era intervenuto un rinnovo firmato dal ministro della Giustizia Paola Severino.
Fonte: http://www.canicattiweb.com/2012/06/19/sicilia-strage-di-capaci-revocato-41-bis-al-boss-che-nascose-lesplosivo/
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