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mercoledì 29 febbraio 2012

Amnesty accusa: drammatico aumento della repressione contro il dissenso

Iran/2 - Nel report di 71 pagine "Abbiamo l'ordine di distruggervi" la denuncia del giro di vite che ha fatto seguito alle proteste di un anno fa

Non bastavano le drammatiche cifre già note sul quadruplicarsi delle esecuzioni pubbliche in Iran: oggi la repressione di ogni forma di dissidenza nel paese è in grande aumento. La situazione è peggiorata a partire dalle proteste del febbraio di un anno fa, convocate da Hussein Mousavi e Mehdi Kharoubi, ma l’avvicinarsi delle elezioni di domenica – secondo quanto afferma Amnesty International – ha portato a un nuovo giro di vite.
A fotografare la situazione è il report fresco di pubblicazione We are ordered to crush you. Expanding repression of dissident in Iran, che descrive un quadro allarmante, molto discordante con l’immagine che il governo offre quando sostiene di appoggiare le proteste in corso in Medio Oriente e in Africa del Nord.

Già nel denso Rapporto annuale 2011, l’organizzazione per i diritti umani riferiva che, secondo le autorità, ci sono state 252 esecuzioni – comprese quelle di cinque donne e un condannato minorenne – ma anche che «sono giunte notizie attendibili di oltre 300 altre esecuzioni, ufficialmente non riconosciute», e di almeno 143 condannati minorenni nel braccio della morte. Cifre ufficiali, che però risentono dei limiti imposti dalle autorità in merito alla diffusione di notizie sulla pena di morte.
Le 71 pagine di questo Rapporto denunciano un grande peggioramento degli ultimi mesi, con conseguenti ondate di arresti per chiunque si situi fuori dal controllo delle autorità. Così lo spiega Ann Harrison, direttrice ad interim del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty: «Nell’Iran di oggi, chiunque è a rischio se fa qualsiasi cosa che possa situarsi al di fuori dei ristretti confini di ciò che le autorità considerano accettabile dal punto di vista sociale o politico». E quindi la scure sta colpendo avvocati, studenti, giornalisti, attivisti politici e le loro famiglie, esponenti di minoranze etniche e religiose, autori cinematografici e persone che hanno contatti con l’estero, soprattutto con la stampa. E la repressione si è estesa anche a persone ora fuori dal paese.
Nel mirino c’è dunque chi è attivo sui social media, chi fonda un’organizzazione non governativa o vi aderisce. I media elettronici sono considerati una grande minaccia: eloquente l’esempio del funzionario di polizia che a gennaio ha dichiarato che Google è «uno strumento per lo spionaggio» mentre la cyberpolizia (una nuova squadra creata ad hoc) ordinava ai proprietari di internet cafè di installare telecamere a circuito chiuso e registrare l’identità degli utenti prima di dare loro l’accesso.
È nota la situazione del blogger Mehdi Khazali, arrestato a gennaio poi condannato a quattro anni e mezzo di carcere. Ancora la settimana scorsa, l’Iranian Student’s News Agency denunciava che la chiusura della maggior parte dei siti di messaggi e di siti internet stranieri ha suscitato grandi critiche in una popolazione la cui pazienza è già al limite, anche per le difficoltà che comporta lavorare in queste condizioni per chi ha bisogno della Rete per motivi professionali.
E non era certo la prima volta che venivano interrotti per giorni gli accessi a Gmail, Google, Yahoo! e Hotmail, come ha sottolineato anche la stampa locale. Questo attacco contro il dissenso si colloca dunque in un più generale peggioramento della situazione dei diritti umani nel paese, per arginare il quale l’ong auspica che il Consiglio Onu per i diritti umani rinnovi il mandato del relatore speciale sull’Iran, che scadrà a marzo.

Fonte: http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/133037/amnesty_accusa_drammatico_aumento_della_repressione_contro_il_dissenso

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